martedì, dicembre 14, 2004

Apologia del non perdere


Qualcuno sa dirmi che cosa sta succedendo? Sembra che la nostra cultura sia sempre più ossessionata dalla vittoria. Stiamo diventando sempre più americani. E non parlo del cinema, della televisione, dei giornali. Parlo dello sport. Il vincitore prende tutto e il loser diventa una figura caricaturale, da barzelletta, un'espressione gergale, un modo di dire.

Peccato che il nostro sport nazionale sia un po' diverso da quelli americani. Prevede anche una figura eretica: il pareggio. Che cosa sei, allora, per questa cultura della vittoria, se non sei un vincente, ma nemmeno un perdente? Diventi un'anomalia difficile da gestire. Il "primo non prenderle" che ha segnato tutti i più importanti trionfi del calcio italiano, da Rocco a Herrera, da Trapattoni a Capello, è stato definitivamente defenestrato. Oggi non perdere non basta più.

E' vero. Forse 13 pareggi su 16 partite sono tanti. Ma vent'anni fa, l'Inter, unica squadra imbattuta in Italia e in Europa, sarebbe stata a 18 punti, a sole 8 lunghezze dalla prima in classifica. E sarebbe stata celebrata come una sorta di invincibile armada. Una squadra che non muore mai.

Invece, oggi, l'Inter naviga pallida a metà classifica. E i media hanno iniziato il "crucifige" dell'allenatore di turno. Il loro sport preferito. Senza nemmeno il dramma dei grandi sconfitti. Mancini è meno di Cuper, giustiziato a Roma il 5 maggio. Meno, perché i grandi sconfitti hanno la loro dignità. Chi si limita a non perdere, dà solo fastidio. E' un'anomalia. Da cancellare, per fare rientrare in quel paradigma in bianco e nero (tanto per cambiare...), che conosce solo un vincitore e tanti sconfitti.

Qualcuno sa dirmi che cosa sta succedendo?

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